Definizione di sostenibilità e sue implicazioni in ambito tessile / abbigliamento

Cosa si intende per sostenibilità e perché il tessile sostenibile

Il termine sostenibilità è ormai entrato nel vocabolario quotidiano di ognuno di noi. Siamo ormai tutti consapevoli del fatto che sia necessario iniziare ad intraprendere un nuovo modo di produrre e consumare.

Ma iniziamo cercando di dare una definizione al termine “sostenibilità”:

“Modello di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. (Questa definizione è stata coniata nel 1992 durante la Prima Conferenza ONU sull’ambiente).

Come si può notare, si tratta di una definizione in cui la parola “ecologia” non compare, eppure, la stragrande maggioranza dei messaggi pubblicitari che oggi riceviamo si limitano a considerare l’argomento della salvaguardia dell’ambiente, al punto che oggi si identifica la sostenibilità con la salvezza ecologica del pianeta.

Purtroppo, come vedremo, il concetto è molto più ampio e comprende aspetti altrettanto gravi e dannosi.

Nonostante oggi si produca una quantità di informazione smisurata (negli ultimi trent’anni ne è stata prodotta di più che nei precedenti 5.000 anni), sul termine sostenibilità c’è ancora molta disinformazione, o almeno molta confusione.

Specifichiamo dunque quali sono gli ambiti fondamentali che bisogna considerare parlando di “sostenibilità” reale:

  • Sostenibilità ecologica / ambientale: responsabilità nell’utilizzo delle risorse;
  • Sostenibilità sociale: sicurezza, salute, giustizia, diritti civili;
  • Sostenibilità istituzionale: il ruolo del legislatore per il raggiungimento delle due forme precedenti.

Il modello di sviluppo e di produzione tradizionali (sistema lineare) ha mostrato importanti segnali di crisi già intorno alla metà del secolo scorso: la scarsità delle materie prime e l’aumento dei tassi di inquinamento sono stati i primi indici di decadimento. Estrazione – trasformazione – distribuzione – consumo: una linea dritta, il cui unico obiettivo è il mero profitto finanziario che si può generare in ogni fase della catena, ma che ha trascurato profondamente gli aspetti sociali ed ecologici della produzione (in qualunque settore merceologico).

Se vogliamo cercare di dare un’idea di quello che è il ruolo del tessile nella globalità del mondo produttivo mondiale, ci può essere sufficiente ricordare che nel 2017 sono stati venduti 154 milioni di pezzi d’abbigliamento (ca. 20 nuovi capi per ciascun abitante del pianeta) e che tra il 2000 e il 2015 la produzione di abbigliamento è raddoppiata con un aumento del numero di capi acquistati pari al 60 %.

Purtroppo, però, la vita media di ogni singolo pezzo si è dimezzata, causando ovviamente un grosso problema per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e le problematiche ad esso connesse. Ovviamente, in tutto questo, ha giocato un ruolo fondamentale il “fast fashion” (che non tratteremo in questo corso, cercando di considerare il tessile / abbigliamento nei suoi caratteri più generali – il fenomeno del “fast fashion” meriterebbe un capitolo separato e molto articolato -).

Possiamo però solo considerare che, sulla base della crescita della popolazione mondiale e la possibilità di accedere ad acquisti di fascia medio / bassa per un numero di consumatori sempre più alto, si calcola che nel 2030, gli acquisti d’abbigliamento aumenteranno di un ulteriore 60 % rispetto alle quantità attuali e quindi, si passerà dai 62 milioni di tonnellate attuali a oltre 100 milioni di tonnellate di capi d’abbigliamento consumati annualmente.

In questo quadro economico / produttivo, l’industria tessile / abbigliamento copre un ruolo primario. Stiamo parlando di una delle più inquinanti forme produttive al mondo.

Importanza della sostenibilità per i consumatori
Fonte: The Economist

Non dobbiamo però mai dimenticare che, in quanto membri di una società che ha ormai basato buona parte delle sue sorti economiche sul consumismo, siamo proprio noi consumatori che deteniamo un grande potere che è quello di iniziare a scegliere come e cosa acquistare e consumare. Ciò diventa però possibile nel momento in cui la nostra conoscenza aumenta e quindi la nostra consapevolezza ci rende partecipi e condizionanti nelle scelte dei produttori e dei distributori.

Gli acquisti, in questo settore specifico sono ancora oggi determinati dalla divisione esistente tra abbigliamento/funzione e moda/desiderio. Si tratta di due elementi ancora molto distinti che, anche grazie a fattori economici globali, hanno portato il settore tessile / abbigliamento a livelli di scarsa sostenibilità tali per cui è indispensabile e non più ritardabile un intervento serio su tutta la filiera produttiva, consumatori inclusi.

Accanto al termine “sostenibilità”, anche “sviluppo sostenibile” è una terminologia ampiamente utilizzata. Non è un caso, infatti, che si sente nominare questa definizione anche nelle sfere più elevate: dalle Nazioni Unite, fino alla Banca Mondiale, fino ad arrivare ad organizzazioni non governative. Lo “sviluppo sostenibile” è anche uno degli obiettivi principali della Comunità Europea e di molti Paesi.

L’utilizzo di questi due termini implica la consapevolezza che la nostra capacità di prosperare nel presente e nel futuro richieda un’attenzione più elevata non solo verso il semplice progresso economico e sociale, ma anche al mantenimento dei sistemi di supporto della vita sulla Terra.

Il consumatore moderno sta aumentando la sua attenzione verso la sostenibilità. Questo è sicuramente un fattore molto importante per il prossimo futuro.

Una recente ricerca commissionata dal Boston Consulting Group ha evidenziato che il 75 % dei consumatori nei cinque continenti vede la sostenibilità come elemento estremamente o molto importante. Sicuramente, questo risultato, è il frutto della diffusione dell’argomento sostenibilità sui media. Ovviamente, questo elevato risultato dovrebbe spingere i brand internazionali attraverso nuove politiche e filosofie di sviluppo, e considerare la sostenibilità come risorsa e fattore competitivo, e non solo come buon argomento commerciale e promozionale.

La stessa ricerca ha evidenziato che il 38 % dei consumatori sono disposti a comprare un prodotto da un brand che non sia il loro marchio abituale, se dimostra una credibilità maggiore verso le politiche sostenibili. Ma soprattutto si evince che le nuove generazioni sono particolarmente attente e sensibili ai temi sostenibili.

Il punto nodale non è che bisogna aumentare le politiche di sviluppo sostenibile ma bensì capire quanto tempo ci vorrà affinchè i consumatori smetteranno di comprare da brand che non agiscono responsabilmente.

Importanza della sostenibilità per i consumatori
Fonte: Global Fashion Agenda, Boston Consulting Group, and Sustainable Apparel Coalition

Nonostante questi primi dati che potrebbero dare un panorama abbastanza confortante, c’è ancora molto da divulgare perché la situazione non è propriamente così rosea come può apparire. In effetti, notare che il 25 % dei consumatori non si stia curando della sostenibilità durante l’acquisto di abbigliamento, dovrebbe preoccupare.

La sostenibilità è vista quasi come un pre-requisito invece che un vero e proprio “driver” nelle scelte decisionali d’acquisto. Ossia: si ritiene che un prodotto dovrebbe essere sostenibile a prescindere.
I cambiamenti climatici e i disastri naturali sono ancora i più forti stimoli per una coscienza sostenibile. E quindi, la parte etica è ancora trascurata.

I consumatori acquisiscono le informazioni sull’argomento sostenibilità tramite ricerche online (35 %), social media (31 %) e media non digitali (29 %).

Le aziende stanno cercando di intervenire in favore della sostenibilità in determinate aree / servizi. Al primo posto c’è la “supply chain” a pari merito con il Management aziendale (la ricerca di manager competenti in materia sta diventando un elemento molto impostante).

A seguire, gli investimenti si rivolgono allo sviluppo di nuovi prodotti (bisognerebbe però approfondire se si tratta di ricerche in cui si rivalutano anche le proprietà delle materie prime ed i loro trattamenti, o se si tratta solo di evoluzioni estetiche delle collezioni). Analizzando tutti gli obiettivi, non si riscontra in nessuno di questi il tentativo di migliorare le condizioni sociali dei lavoratori.

Infine, un altro elemento fondamentale che si dovrà considerare nell’immediato futuro, si riferisce al destino dei rifiuti tessili. Si tratta di un altro argomento scottante che sicuramente avrà bisogno di soluzioni ed iniziative urgenti. La ricerca dovrà impegnarsi in modo molto approfondito in tal senso.

Dove finiscono gli scarti tessili (grafico)
Fonte: Pulse Report 2017

I dati riportati si riferiscono al 2019 e non si discostano di molto rispetto al 2018. Ciò significa che nel biennio citato, non c’è stato il sufficiente incremento che era invece auspicabile. Si tratta sicuramente di una mancanza nella divulgazione della materia.

Se consideriamo che entro il 2030 si prevede una crescita produttiva pari a 102 milioni di tonnellate in volume (incluso il settore calzaturiero), è di fondamentale importanza che lo sviluppo sostenibile diventi la guida fondamentale dei consumatori e della stragrande maggioranza dei produttori stessi.

La sostenibilità non è solo ecologia: sostenibilità sociale ed etica nel tessile / abbigliamento

Secondo il WWF (World Wide Fund for Nature) stiamo vivendo con un credito ecologico dal 2 agosto 2018. Praticamente, in 7 mesi consumiamo le risorse che dovremmo consumare in un anno. Tutto questo avviene però con un enorme squilibrio geografico: infatti, se tutti gli esseri umani consumassero con questi ritmi, avremmo bisogno di 5 pianeti.

In 50 anni, la Terra ha perso il 60 % degli animali selvatici che la popolavano. Le grandi aree dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente hanno perso il 31 % delle specie animali.

Ormai, la transizione ecologica non significa più fermare il cambiamento climatico a 2°C, ma provare a fermare il riscaldamento a meno di 3, 4 o 5 °C. E il motivo è molto semplice. Un riscaldamento di 5°C per il nostro pianeta comporterebbe:

  • Alimentazione sempre più scarsa: ogni grado di temperatura in più implica il 10 % in meno di resa dell’agricoltura mondiale (e questo avrebbe comunque una forte incidenza anche nei confronti delle materie prime tessili). Oggi, già 900 milioni di persone soffrono di denutrizione.
  • Eventi climatici frequenti e di forte portata: aumenterebbero gli uragani, le siccità, le inondazioni e le tempeste, con la conseguente perdita frequente di raccolti e quindi di materie prime.
  • Rapida diffusione di alcune malattie: malattie virali gravi o nuovi virus potrebbero diffondersi su larga scala.
  • Conflitti: con la perdita di terreni coltivabili, scarsità di energia e di acqua, aumenterebbe drasticamente il rischio di conflitti tra Paesi.

Già da questa descrizione è facilmente comprensibile come, problemi climatici possono causare problemi ecologici e, questi, di conseguenza, causare gravi problemi sociali.

Nonostante il quadro poco edificante appena descritto, ridurre il concetto di sostenibilità ad un problema solo ecologico e ambientale è quanto di più errato si possa commettere.

La sostenibilità nasce anticamente. Le società umane, per diversi secoli, hanno sempre riconosciuto l’importanza di non esigere dall’ambiente più di quello che esso è in grado di fornire a lungo termine.

Dopo molti anni di lunghe discussioni, le comunità internazionali hanno sottolineato l’urgenza di una transizione verso la sostenibilità. Gli sforzi da compiere si riferiscono alla riduzione della fame e della povertà; alla facilitazione dell’accesso all’assistenza sanitaria; alla pianificazione familiare e all’istruzione; all’incremento della produzione agricola riducendo allo stesso tempo il degrado dell’ambiente; all’arresto del deterioramento dei sistemi di supporto della vita sulla Terra.

Secondo i calcoli dell’Asia Floor Wage Alliance (AFW), la grande distribuzione nel settore abbigliamento può realizzare profitti pari ad almeno 4 volte il costo totale di produzione, trasporti inclusi, per capi d’abbigliamento confezionati in Asia. I lavoratori che confezionano questi manufatti percepiscono un salario che equivale a meno del 3 % del prezzo finale del prodotto.

Le reali condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori del settore tessile / abbigliamento globale è molto lontana dall’essere dignitosa e paritaria: costo del lavoro molto basso, nessuna organizzazione sindacale a difesa dei diritti dei lavoratori, nessun impegno a contribuire allo sviluppo locale sostenibile (su questi pilastri si sono spesso appoggiate le sorti di grandi brand internazionali).

Il crollo del Rana Plaza dell’aprile 2013 a Dacca in Bangladesh e quanto è successo negli anni seguenti sono un chiaro ed evidente esempio di come, una parte del settore abbigliamento, abbia disconosciuto la propria responsabilità in materia.

Il progresso verso uno sviluppo realmente sostenibile richiede un impegno continuo nei riguardi di tutti gli elementi coinvolti. Ma tutto ciò si rende possibile con una prospettiva molto più ampia su come le singole discipline e le singole problematiche dipendano l’una dall’altra, interagiscano e co-evolvono.

Nel quadro globale di sviluppo sostenibile, il benessere sociale inclusivo è sorretto dall’utilizzo e/o dal consumo di un’ampia gamma di beni e di servizi. Tutti questi beni e servizi sono derivati, prodotti e anche determinati da diversi beni capitali del pianeta.

  • Capitale naturale: l’insieme delle risorse e delle condizioni ambientali fornite dalla Terra e utilizzate per far fronte ai bisogni di base di tutti gli esseri umani;
  • Capitale infrastrutturale: le industrie e i loro prodotti, i sistemi di trasporto, l’edilizia, l’agricoltura, le infrastrutture energetiche. Ossia tutti quei sistemi che possono rendere più piacevole la nostra vita di tutti i giorni;
  • Capitale umano: i mezzi per la realizzazione del benessere umano, sono gli esseri umani stessi;
  • Capitale sociale: tutte le connessioni tra gli individui e le norme di fiducia reciproca che riescono a porre in essere;
  • Capitale di conoscenza: che comprende sia la conoscenza teorica che quella pratica; le informazioni, i fatti, le procedure, ecc.

In una accezione puramente orientata al mondo produttivo del tessile / abbigliamento, possiamo immediatamente comprendere che la vera sostenibilità e il relativo sviluppo sostenibile, non si allontanano minimamente da quanto fin qui descritto (come del resto per molti altri settori merceologici che hanno vissuto decenni di delocalizzazione).

Un manufatto può essere considerato sostenibile non solo quando è realizzato con materie prime che rispettano l’ambiente (o almeno lo rispettano in gran misura), ma lo diventa nel momento in cui tutta la filiera produttiva ha rispettato i parametri fondamentali di difesa dei diritti dei lavoratori, ha rispettato i requisiti di sicurezza per la salute dei consumatori, è stato preparato in un packaging ecologico con materiali riciclati, e così via.

Troppi sono gli esempi che si potrebbero citare (nei prossimi capitoli potrete trovarne alcuni) che fanno riferimento a pratiche produttive negative e/o nocive, che sono ormai diventate quasi la regola. Questo è anche uno dei tanti motivi per cui oggi si dibatte molto sul tema delle certificazioni.

Si tratta di un sistema che ha portato una serie di regolamentazioni importanti, cercando di creare un “sistema” con maggiore controllo e responsabilità. Purtroppo però, si tratta di un sistema che ha ancora alcune falle da riparare e che ancora non ha risolto il problema del controllo dell’intera filiera produttiva (cosa che molti produttori stanno iniziando a chiedere con insistenza).

C’è da sottolineare altresì il fatto che il settore tessile / abbigliamento si è mosso un po’ in ritardo rispetto ad altri settori produttivi, relativamente ai propri comportamenti sostenibili. Ma questo potrebbe diventare un vantaggio importante perché potrebbe affrontare le sfide del futuro con maggiore maturità e una nuova attenzione verso i modelli produttivi più etici e più equi.

Per poter intraprendere questa nuova via, il settore tessile / abbigliamento dovrà sicuramente iniziare a rielaborare l’approccio ai mercati con una nuova visione di business dove, il profitto è il risultato e non lo scopo dell’azienda.
Lavorare entro i limiti della natura potrà far sorgere una nuova forma di “Umanesimo” industriale:

  • Promuovere la trasparenza: l’intera filiera deve essere sempre trasparente e cristallina in ogni sua fase; far conoscere tutte le informazioni relative all’utilizzo delle risorse, le condizioni di lavoro, l’inquinamento, sviluppando quindi una cultura di maggiore condivisione delle conoscenze;
  • Migliorare e confrontare: sviluppare eventuali indicatori che possano valutare gli impatti economici, sociali e ambientali, inserendo tutti gli step della filiera;
  • Nuovi approcci: rimanere estremamente aperti a nuovi approcci interagendo con nuove location, con diverse persone e con nuove modalità, soprattutto valutando quelle disponibili con i nuovi sistemi di comunicazione;
  • Costi di produzione reali: rivalutare internamente i costi che normalmente sono considerati come “esterni” all’unità produttiva vera e propria;
  • Valorizzare / condividere le competenze: lo sviluppo sostenibile è una materia in continua evoluzione e ricca di sfaccettature ed interpretazioni. Ma è anche una materia in cui interagiscono discipline diverse. E’ dunque fondamentale basare lo sviluppo sulla costante condivisione delle conoscenze con l’obiettivo fondamentale di aumentare costantemente le competenze.

Sostenibilità sociale significa anche salari adeguati al costo della vita per garantire dunque un giusto livello di benessere.

Portiamo come esempio uno dei Paesi dove un enorme numero di persone è impiegato nel settore tessile / abbigliamento e dove, molti brand del settore stanno appoggiando le loro produzioni da diversi anni: il Bangladesh.

PaeseSalario minimo
BangladeshUSD 90
IndiaUSD 115
IndonesiaUSD 155
CambogiaUSD 177
TurchiaUSD 520
RomaniaUSD 535
PortogalloUSD 840

La tabella riporta i salari minimi registrati in vari Paesi nel corso del 2019. Come si può facilmente evidenziare, il Bangladesh rappresenta il Paese dove i lavoratori ricevono un salario decisamente insufficiente per poter essere considerato adeguato al raggiungimento del benessere.

Un lavoratore di questo Paese guadagna quasi 10 volte meno rispetto al Portogallo e 6 volte meno rispetto alla Romania. Bisogna considerare che la soglia adeguata per una vita dignitosa, in Bangladesh, dovrebbe aggirarsi intorno ai 250 / 280 USD/mese. Per poter arrotondare il salario mensile, i lavoratori accettano di lavorare molte ore straordinarie.

Gli orari lunghissimi pesano fortemente sulle condizioni di salute e sul livello di alfabettizzazione. I redditi familiari non permettono abitazioni adeguate e cure mediche. Molti bambini vengono lasciati soli per quasi tutta la giornata perché i genitori passano la maggior parte del tempo all’interno delle aziende (molti di questi bambini vengono introdotti nelle aziende già in giovane età).

Il congedo di maternità per le donne, in Bangladesh è molto ridotto (circa 4 mesi).

In Bangladesh esiste un particolare corpo della Polizia di Stato, la Polizia Industriale, che è dedicato alle agitazioni provocate dagli scioperi.

E’ evidente che in una situazione come quella illustrata è impensabile parlare di diritti umani.

Il Bangladesh rappresenta dunque la vera fotografia di quello che si intende per sostenibilità sociale.

La sostenibilità come vantaggio competitivo

L’evoluzione e l’interesse che molte aziende che operano nel settore tessile / abbigliamento nei confronti dei temi della sostenibilità rappresentano un’evoluzione culturale importante che potrà sicuramente ricadere su una maggiore qualità dei prodotti, ma anche una maggiore qualità delle condizioni di lavoro dei vari operatori. Si tratta di una presa di coscienza fondamentale.

La diffusione delle certificazioni (iniziata ormai dagli anni Ottanta), introdotte nella filiera tessile per poter misurare e valutare i prodotti dal punto di vista qualitativo, ha sicuramente aiutato questa spinta sostenibile. Una vera e propria punta di un iceberg che emerge sempre di più.

Ma la vera spinta sta arrivando da una nuova cultura d’impresa: una nuova forma di Umanesimo moderno, nel quale l’uomo, e non più la macchina, vengono posti al centro di questo “nuovo” universo produttivo.

Indubbiamente, l’esigenza di ridurre i costi energetici ed idrici, è stata un’altra spinta non trascurabile.

I mass media e i nuovi sistemi di comunicazione hanno consentito a numerose organizzazioni non governative la divulgazione del volto meno nobile del “fashion system”. Condizioni di lavoro allucinanti, sfruttamento del lavoro minorile, malattie professionali completamente trascurate, inquinamento indiscriminato e molto altro ancora, sono ormai davanti agli occhi di tutti.

Inizia dunque una nuova “stagione” del settore tessile / abbigliamento dove, oltre alla creatività e alla qualità, si considera fortemente anche l’elemento sostenibilità.

Questa nuova tendenza può consentire di rivalutare l’utilizzo di materie prime eco-sostenibili, la progettazione di abbigliamento attento a unire stile e rispetto dell’ambiente. Nuove ed importanti opportunità costruiscono una nuova filosofia tessile: riportare le competenze umane al centro del progetto “fashion”.

Un altro fenomeno che sta iniziando ad evolversi e a crescere è il fondamentale fenomeno della “cross fertilization”: discipline diverse che si intersecano e creano una serie di prodotti con un carattere fortemente innovativo mediante il recupero e la rivalutazione di tecniche note. Immaginiamo, come esempi, la collaborazione tra botanica e la fitoterapia con il tessile (l’applicazione di piante medicinali e/o oli essenziali su filati o tessuti per aumentarne le proprietà), la collaborazione tra fisiologia dello sport e sportswear (per creare un abbigliamento più performante e confortevole).

Sono solo alcuni esempi delle potenzialità che la “cross fertilization” offre.

La sostenibilità costringerà a scelte nuove e coraggiose che aggiungeranno competitività al prodotto finito e che potranno coinvolgere molti più addetti di quelli attuali.

Se, come riteniamo, la sostenibilità è ormai un macro trend, l’impresa tessile / abbigliamento del futuro potrà acquisire nuova reputazione e quindi competitività presso i propri stakeholder e presso gli acquirenti.

In questo nuovo scenario, si potrà anche definire una nuova e fondamentale forma di collaborazione tra mondo della produzione e mondo della scuola e dell’istruzione in generale: vere e proprie strutture di supporto per le aziende (di qualunque dimensione esse siano) per realizzare e definire obiettivi e nuove strategie.

Un Paese come l’Italia potrebbe avere un fondamentale vantaggio competitivo da sfruttare in quanto è un Paese che può usufruire di una filiera completa con elevate competenze. La rivalutazione della creatività, della qualità e dell’artigianalità, tipiche del “Made in Italy”, rappresentano un valore intrinseco di elevata importanza in termini di sostenibilità innovativa e propositiva.

Sarà dunque fondamentale, in ottica presente e futura, iniziare a lavorare con un nuovo sistema sinergico e di “sistema”. Le aziende, di qualunque dimensione esse siano (dal piccolo artigiano alle piccole medie imprese) dovranno lavorare molto sulla trasparenza d’informazione (che è altresì uno dei valori della sostenibilità reale), sulla divulgazione legata alla loro filiera produttiva. Attivarsi con un “sistema” significa avere più risorse a disposizione ed essere più propositivi nell’ambito della Ricerca & Sviluppo.

Migliorare la qualità dei prodotti e la loro filiera produttiva può rappresentare inizialmente oneroso dal punto di vista economico perché può richiedere investimenti (anche se il primo investimento indispensabile è quello culturale). Investimenti che possono sembrare inizialmente non recuperabili, ma quando poi vengono realizzati, si confrontano con la più bassa qualità precedente e quindi si percepiscono i vantaggi competitivi che ne possono derivare.

Nel prossimo futuro, lo “sviluppo sostenibile” sarà indispensabile sia per i consumatori che per le imprese. Non più dunque una semplice scelta (di stile di vita o di modo di fare business) ma una vera e propria necessità.

La spinta fondamentale verso questo nuovo cambiamento nel sistema tessile / moda, sarà anche rappresentata dai mercati: la nuova consapevolezza che non sarà più adeguato continuare a produrre con sistemi organizzativi e produttivi che si scontrano con la realtà fatta di crescente carenza di risorse, nuove materie prime disponibili, dinamicità estrema dei mercati, nuove legislazioni, trasformerà il “business model” di riferimento della sostenibilità come un fondamentale e potente motore di innovazione.

Le attitudini e i comportamenti sostenibili vanno ad influenzare il rapporto con i consumatori, rafforzando enormemente la reputazione del prodotto ma anche del marchio. Nel settore abbigliamento, l’interazione con il cliente / consumatore è di fondamentale importanza. E’ dunque fondamentale interessarsi delle conseguenze sociali dei prodotti che si realizzano, conoscendo e controllando tutta la filiera produttiva e ponendo al centro il tema dell’”essere umano”, della sua sicurezza e dell’ambiente.

Ciò che dovrà guidare le imprese (dall’artigiano alle PMI piuttosto che i grandi marchi) dovrà essere la “passione” per i propri prodotti e la trasmissione osmotica di questo concetto al consumatore.

Una presa di coscienza interessante potrebbe essere l’idea che, non deve essere la sostenibilità ad avere bisogno dell’innovazione ma, al contrario, è l’innovazione ad avere bisogno della sostenibilità e dei suoi valori per poter avere degli effetti economici reali e significativi.

In questa nuova ottica di pensiero, non è più sufficiente sviluppare prodotti innovativi, ma è indispensabile cambiare radicalmente il “pensiero” relativo alla produzione.

Un suggerimento importante che potremo considerare nei nostri prossimi acquisti di abbigliamento è relativo all’utilizzo che dovremo fare di quel prodotto e se realmente le sue caratteristiche rispondono a quelle specifiche esigenze.

In questo modo inizieremo a fare una scelta sicuramente più consapevole e più orientata. Se, per esempio, dovremo usare una t-shirt per fare attività fisica leggera, cerchiamo di scegliere tessuti anti batterici che riducono la formazione di cattivi odori e quindi potremo lavarli una volta in meno. Impariamo dunque a selezionare adeguatamente la composizione dei tessuti che andremo a selezionare in modo che siano realmente quelli che ci servono.

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